Dicesi sorpresa l’effimera sensazione del piacere. Chiamasi sorpresa la modificazione improvvisa dei cinque sensi. Una modificazione che, se stabile nel tempo, costituisce il sapore del successo.
Il weekend di San Valentino i regali si sprecano, le sorprese si moltiplicano, i colori si mescolano. Non c’è solo il rosso; c’è anche il nero del cioccolato, il verde del selciato, l’azzurro del cielo stellato, quando non arriva Burian a rendere bianco e puro anche il sentiero dell’oscuro.
No, non è una poesia, altrimenti anche questa sarebbe una sorpresa ai più. Ma stupirsi ogni giorno è così impossibile? Cogliere l’inaspettato ogni dì è veramente così solo per pochi? L’inaspettato non è solo il materiale. Qualcosa che non andrà bene ci sarà anche per chi ha il conto in banca a esplodere come una fontana di fuochi d’artificio. Capiamolo.
Perché non provare stupore quando un alunno torna a seguire la tua lezione dopo settimane è sintomo di insoddisfazione; perché non sentire le farfalle quando ti fulmina lo sguardo di qualcuno è indice di appagamento. Ma, soprattutto, perché lo squarcio di sole che si apre nel tuo cuore quando senti di avere tanto da imparare, quando senti di avere ancora tanto da condividere, è la sorpresa dell’anima di cui l’individuo ha bisogno per potersi dare, è la miccia della forza d’animo necessaria per desiderare di sorprendere il prossimo.
Le passeggiate solitarie sorprendevano Rousseau perché non erano una piattaforma stabile. Era il continuo divenire al servizio della realizzazione personale, indispensabile per l’agire della collettività.
Io mi stupisco ancora perché il miglior fiore deve ancora sbocciare.